"Vi è tra i monti una valle bellissima sulla quale sovrasta, ergendosi al cielo la rupe Cerreta"
Con queste
parole il poeta Jacopo Sannazaro - nato a Napoli nel 1455 o 1456, il quale visse per ca. 20 anni a San Cipriano Picentino
- ha voluto esaltare la bellezza di questo ameno ed importante paese situato a 15 Km da Salerno e 10 km da Pontecagnano.La cittadina
ricca di storia è stata fino a qualche lustro fa sede di uffici importanti e personalità di elevata cultura.
San
Cipriano Picentino è situato in una collina interna avente diverse altitudini, dai 70 metri s.l.m. ai 400 metri, ed è per
la popolazione fluttuante e per i turisti un momento di pace e di serenità attesa la sua configurazione topografica. E’ situato
alle pendici sud orientali del Monte Monna, è attraversato dall’autostrada A3 Salerno – Reggio Calabria, ha un’estensione
di 17,43 kmq. Gli abitanti sono detti sanciprianesi; Prende il nome dal Santo protettore Cipriano V.M. – vescovo di Cartagine
- che si venera solennemente il 16 settembre; Assunse l’appellativo di Picentino col regio decreto 23/10/1862
del Re Vittorio Emanuele II.
STORIA
I
Piceni, così chiamati al dir di Plinio, dal Picchio (simbolo sacro a Marte) raffigurato sui loro vessilli, abitavano l’antica
Regione omonima dell’Italia Centrale. Legati al popolo romano da un trattato di alleanza sin dall’inizio del III
secolo a.C., per essere difesi adatte incursioni delle tribù confinanti una volta che queste furono dai Romani soggiogate
e distrutte, si trovarono stretti in una morsa dal territorio spettante a Roma, onde era tolta ai Piceni ogni libertà di movimento.
Forse il proposito dei Romani di fortificare il Loro confine settentrionale fondando a Rimini una colonia di diritto Latino,
provocò l’insurrezione dei Piceni i quali si sentivano forti dell’appoggio della potente città Umbra di Sarsina.
Ma il tentativo fallì perché furono soggiogati in due campagne nel 269 a.C. e 268 a.C., per cui una parte del Loro paese fu
incorporata nel territorio romano col diritto agli abitanti di cittadinanza senza suffragio e l’altra, invece, fu confiscata.
I
più facinorosi furono deportati dal Mare Adriatico all’opposto Mar Tirreno nella Regione compresa tra la Campania e
la Lucania che prese il nome di Agro Picentino, al centro del quale fu edificata la città di Picentia. I Picentini, quindi,
piccola porzione dei Piceni si stabilirono sulla destra del Sele e lungo il Golfo di Salerno propriamente nella Valle del
fiume detto pure Picentino.
Tra
i più antichi abitanti della zona preesistevano sui monti popoli oriundi dai pastori Sabelli e in pianura dagli Osci con profondi
innesti Greci ed Etruschi. Gli indigeni pur mantenendosi sostanzialmente agricoltori e pastori erano progrediti e si erano rafforzati
da rendere dura l’esistenza ai Romani stessi che da parte loro li consideravano popolazioni infide e pericolose.
Durante
le guerre puniche, i Picentini alleati dai precedenti successi di Annibale, strinsero alleanza con lui nella lotta contro
Roma per vendicarsi della deportazione subita e perciò furono annoverati tra i "Miusorrumai" popoli nemici di Roma. Ma la
sconfitta del grande cartaginese nella seconda guerra Punica (204 a.C.) meritò loro la punizione di Roma che li domò completamente
per mezzo del generale Sempronio Sofo che espugnò la loro capitale e li disperse per l’Agro tra il Sele ed il Sarno,
condannandoli a fare da messaggeri come già accaduto ai Lucani ed ai Bruzzi.
Allora
i Romani per impedire che i Picentini macchinassero altre rivolte o congiure, fortificarono il campo trincerato di Salerno
dove inviarono come era loro costume una colonia di veterani ai quali distribuirono i terreni della zona vigilata. Intanto i bellicosi
Picentini mal sopportando la loro condizione servile quando si accese la guerra sociale si collegarono con altri popoli italici
sotto il comando di Publio Presenteio Picentino ed inflissero una dura sconfitta ai Romani, guidati da Silla vinsero gli Italici
(88 a.C.) ai "Campi Sillani", forse l’odierna Campigliano e rasero al suolo la capitale Picentia che era risorta dopo
essere stata espugnata. I superstiti furono costretti a disperdersi sui monti circostanti ed abitare nei villaggi mentre i
nobili furono decapitati.
Su queste alture essi portarono i loro
dei e tutti i sentimenti, le relazioni e gli affetti che li avevano legati alla distrutta Cartagine. Abbracciato poi, il Cristianesimo
scelsero come patrono il vescovo cartaginese: Cipriano che dette il nome a tutta questa terra che al tempo degli dei fasi
e bugiardi prendeva il nome di Venere, la dea romana della bellezza. A testimonianza del periodo romano si possono considerare
alcuni resti archeologici venuti alla luce nel settembre del 1974, durante dei lavori di sbancamento.